Analizziamo una pronuncia del Consiglio di Stato che fissa un principio in tema di mutamento di mansioni.

Il mutamento di mansioni che, pur rientrando nella medesima categoria di inquadramento del dipendente, si sostanzi di fatto in un impoverimento professionale in un contesto persecutorio o stressogeno, va considerato assolutamente illecito ex art. 2013 e 2087 c.c.

E' il principio fissato dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 2354 del 2024.

Dopo la riforma dell’art. 2103 c.c. attuata dal Jobs Act, del resto, l'ampiezza della facoltà dello jus variandi datoriale è stata estesa, considerando che il movimento "in orizzontale" è ora possibile nel rispetto delle mansioni corrispondenti al livello e categoria legale di inquadramento, senza pretenderne più una vera e propria "equivalenza" rispetto a quelle svolte in passato.

In sintesi, si è passati da una nozione di demansionamento sostanziale che imponeva di ricavare l'equivalenza da una serie di fattori atti ad evidenziare la pesatura "in concreto" delle nuove mansioni svolte, e la cui ratio era quella di salvaguardare il lavoratore da scelte datoriali che ne comportassero l'impoverimento del patrimonio professionale complessivo, ad una di natura maggiormente formale-giuridica in un'ottica di attenzione privilegiata anche alle esigenze organizzative del datore di lavoro.

Laddove dunque il demansionamento costituisca uno dei modi, se non il modo per eccellenza di manifestazione del mobbing, il Consiglio di Stato ritiene che possa continuare a trovare rilievo la nozione previgente alla riforma del 2015. La cartina di tornasole della liceità della scelta, conclude la sentenza in commento, torna ad essere il depauperamento qualitativo della prestazione lavorativa ove essa sia mossa da intento vessatorio, ancorché rispettosa formalmente del livello e del ruolo precedentemente rivestiti dal dipendente.

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